Cultura

Svelata l’origine della tradizione della Porchetta di Ariccia: l’archeologa Vincenti individua il santuario dei sacrifici alla dea Demetra

In tempi di dimenticanza o proprio di non conoscenza dell’origine antichissima e culturalmente rilevante di tradizioni identitarie, spesso le celebrazioni sono svuotate di senso, il mito è spento, non parla più. Si è appena conclusa la Sagra della Porchetta di Ariccia, giunta alla 72esima edizione: pochi sanno che il porcellino femmina era l’animale sacrificale di Demetra, dea alla quale Ariccia tributò un culto non minore di quello riservato a Diana Artemide. Come spesso accade ai Colli Albani, per rintracciare l’origine di usi e costumi ancora presenti, sebbene banalizzati, bisogna scomodare la mitologia e rivolgersi alla madre della nostra civiltà, la Grecia.

Nel IV secolo a.C. e forse anche prima, ad Ariccia secondo una consuetudine di matrice greca, si allevava il maiale da offrire in sacrificio a Demetra presso il tempio di Casaletto. Senza un piccolo esemplare da latte di sesso femminile sarebbe stato impensabile partecipare a rituali e misteri per sfuggire alle sorti dei comuni mortali.

Da anni sulle tracce di Demetra e di sua figlia Kore, altrimenti chiamate nella versione latina Cerere e Persefone, gli archeologi Alberto Silvestri e Maria Cristina Vincenti hanno ricostruito la storia di una ritualità legata al mito, ridotta oggi a pratica gastronomica, fugace godimento sensoriale secondo i modi dello street food. Inoltre, Maria Cristina Vincenti ha fatto una scoperta archeologica di grande rilevanza: ha localizzato il santuario.

Domenica 1 settembre, presso la locanda Martorelli di cui sono i custodi e i curatori, i due esperti hanno tenuto una conferenza per spiegare l’origine del noto prodotto tipico Igp proprio mentre a poca distanza, a piazza di Corte e dintorni c’era un pullulare di stand e di avventori. Il ‘pretesto’ è stato la pubblicazione degli Annali 2024 dell’Archeoclub aricino-nemorense diretto proprio dalla dottoressa Vincenti. L’opuscolo intitolato ‘Il santuario di Demetra e Kore in Valle Ariccia’ e distribuito agli intervenuti, era già stato pubblicato nel 2020 nel volume “Il Cibo e il sacro” che contiene gli Atti del convegno organizzato in quell’anno dal direttore del Museo delle religioni di Velletri, Igor Baglioni.

La studiosa Vincenti è anche ideatrice del Festival dell’Archeologia di Ariccia, giunto alla terza edizione. Quest’anno il tema proposto è stato la battaglia di Ariccia, 2500 anni dall’epico scontro contro gli Etruschi. La studiosa ha ribadito che fin dal nome Ariccia ha ascendenze greche: il sistema di fortificazioni, i culti, il rapporto speciale con Cuma, tutto lo suggerisce e lo conferma. “Siamo latini, ci diciamo latini, ma abbiamo ripreso molto dalla Magna Grecia”. Anche la porchetta è ‘invenzione’ greca. E recuperare il sapere delle origini significa preservare l’identità comunitaria. “I prodotti che identificano il territorio dei Castelli Romani, la porchetta, il pane e il vino, sono legati alla dea Demetra e sono di inestimabile valore. La prospettiva di lavoro futura rappresenta la loro valorizzazione per non perdere la nostra identità”: il pensiero dell’esperta è un monito e insieme un auspicio.

Il santuario di Demetra e Kore di valle Ariccia

Busti, antefisse, frammenti marmorei, oggetti votivi, vasellame, ex voto: c’è un’abbondanza di reperti, “fiore all’occhiello del Museo nazionale romano di palazzo Massimo” di cui in ambito locale si sa poco e niente. In una sala del museo sono collocati grandi busti in terracotta di Demetra e Persefone, “culto la cui rilevanza è stata finora messa in luce solo dagli addetti ai lavori”. L’archeologa ha presentato la mappa dei luoghi sacri dell’Ariccia remota: il tempio dell’Orto di mezzo, il tempio di Esculapio, quello presso il parchetto dei Chigi, noto da una ventina d’anni. Un luogo di culto a sé era il santuario del Casaletto di cui l’esperta ha ricostruito la storia. Come spesso accade, fu scoperto casualmente nel 1927 nella Valle Ariccia. Seguì una campagna di scavi, ma dati topografici certi non ci sono mai stati. Il vuoto di un secolo è colmato solo ora: l’archeologa è certa di aver individuato l’area in cui sorgeva il santuario ed è questa una novità di grande rilevanza.

Nel secolo scorso si era pensato che si trattasse di un santuario campestre, ipotesi poi scartata a favore di un tempio vero e proprio. Vincenti ha studiato circa 400 reperti della stipe votiva conservati nei depositi del Museo nazionale romano in occasione dello stage del Master in Musealizzazione, Tutela e Valorizzazione dei Beni Archeologici da lei svolto anni fa con l’Università di Tor Vergata. “Solo la minima parte di questi reperti è esposta. Tale abbondanza di materiale induce a pensare che l’area del tempio possa essere stata di ampie dimensioni e che lo scavo abbia interessato solo una piccola parte”.

sua relazione l’archeologa ha precisato che dal IV secolo a.C. si impone in Italia in tutto il versante tirrenico, da Salerno a Veio fino ad Ariccia, il modello iconografico della dea in trono e inizia ad apparire il tipo con porcellino in mano che riprende modelli greci, anzi di una scuola magnogreca. Inoltre, un’iscrizione incisa su un blocco di peperino che faceva parte dell’edificio templare, ‘Duronia posi’, sarebbe da collegare ai Duronii, famiglia della nobilitas aricina coinvolta con altre nei Baccanali che avrebbe restaurato il tempio di Demetra nella Valle di Ariccia. Il santuario però sarebbe stato abbandonato con l’emanazione nel 186 a.C. di una legge che decretava l’eliminazione dei luoghi di culto di Bacco non autorizzati. L’ipotesi sarebbe confermata dal fatto che il santuario di Demetra e Kore non ha rifacimenti, presenti invece in altri templi laziali. Per l’archeologa sarebbe auspicabile “una ripresa delle indagini archeologiche di un sito che si trova a poco più di un chilometro dall’Appia Antica appena riconosciuta Patrimonio Unesco”. Ma sarebbe anche auspicabile “il ritorno ad Ariccia di tutti i reperti che andrebbero ad arricchire il patrimonio di palazzo Chigi e darebbero nuovo significato alla storia e all’identità aricine”.

Rintracciata la matrice culturale della tradizione della porchetta

“Abbiamo rintracciato la matrice culturale della tradizione della porchetta di Ariccia che affonda le sue radici nel culto di Demetra e di sua figlia”: lo ha dichiarato entusiasta l’archeologo Alberto Silvestri nell’avvio della sua relazione dedicata alla due dee e al sacrificio del maialino. “Nella scorsa edizione della sagra abbiamo proposto il corteo di Cerere. Quest’anno non abbiamo avuto occasione di farlo, ma speriamo di continuare a ragionarci in futuro”.

Secondo il celeberrimo mito narrato nell’inno omerico a Demetra, Kore è rapita da Ade, dio degli Inferi. Demetra disperata lascia l’Olimpo alla ricerca della figlia. Fino a che non la ritrova, la terra non dà più frutti. Il miracolo si riavvia solo quando la madre riabbraccia la figlia ma deve giungere a un compromesso: Kore dovrà soggiornare una parte dell’anno nel regno dei morti al fianco dello sposo e allora il seme sotterrato darà una spiga. A partire dal culto delle dee, si sviluppano i Misteri Eleusini. Se Eleusi dista 20 chilometri da Atene, Ariccia ne dista 20 da Roma, ha evidenziato Silvestri. Altra corrispondenza: il luogo di nascita delle due dee sarebbe stato il lago vulcanico di Pergusa presso Enna. E, guarda caso, l’ambiente lacustre del cratere di Valle Ariccia dove sfociava l’emissario di Nemi ben si prestava a rappresentare la vicenda mitica in un gioco di richiami e corrispondenze.

Oltre ai Misteri, ad Atene alle due dee erano dedicate altre feste celebrate tra ottobre e novembre quali le Thesmophorie. Tutte le forme di culto prevedevano il sacrificio del maiale perché Demetra, divinità materna della terra e della fertilità, nume tutelare dei raccolti, artefice delle stagioni, protettrice delle leggi sacre, era anche ‘colei che uccide i maiali’. Per partecipare ai Misteri eleusini, ogni iniziato doveva acquistare un porcellino da offrire in sacrificio alle due dee. Gli adepti dovevano fare un bagno purificatore dopo una corsa rituale verso il mare. L’animale immolato era poi  consumato dagli adepti nel secondo giorno della festa che si svolgeva tra settembre e ottobre. Ai Misteri partecipavano coloro che volevano una condizione ‘beata’ in vita ma anche dopo: “La morte del seme segna l’origine della nuova vita, rappresenta il mistero dell’agricoltura e la rinascita dopo la morte”. Agli iniziati veniva imposto il silenzio.

Presso il lago di origine vulcanica di Pergusa, il mito colloca il ratto di Kore. Mentre raccoglieva fiori, la fanciulla sarebbe sprofondata nel sottosuolo afferrata  da Ade che la trascinò con sé nel mondo sotterraneo, così come sprofondarono  i maiali che un pastore del luogo stava portando al pascolo. L’accadimento mitologico sarebbe all’origine della prassi sacrificale di gettare porcellini in voragini e anfratti. I resti putrefatti venivano poi recuperati dopo un anno dalle ‘attingitrici’ che scendevano nel sottosuolo e li collocavano sugli altari, o  erano mescolati alle sementi per propiziare il raccolto.

“Il sacrificio del maiale – ha spiegato Silvestri – ben si concilia con la coltivazione dei cereali perché non richiede il nomadismo di chi alleva i bovini”. Che i sacrifici fossero cruenti o meno, nei santuari di Demetra, in Grecia come in Italia, c’erano allevamenti di maiali. Anche le donne che partecipavano alle Thesmoforie dovevano avere con sé porcellini da offrire alla dea, femmine e lattanti da gettare nelle voragini per un sacrificio simile a quello cruento. La carne veniva poi consumata come confermano i residui di pasti votivi trovati presso alcuni santuari demetriaci come quello di Gela.

Porchetta, dunque, in base alla complessa ricostruzione archeologica, è sinonimo di piccolo maiale di genere femminile. Nell’area specifica di Ariccia non si sa se poi venisse realmente consumata dopo un sacrificio cruento durante un pasto comunitario.

“Il termine porchetta, allora, poco si addice all’animale adulto usato per la sua lavorazione, ma a quello misterico sacrificale”, ha concluso Silvestri. Alla fine del suo studio si legge: “Ancora oggi passando in quei luoghi si potrebbe sentire riecheggiare l’invocazione alla dea riportata da Aristofane: O signora veneranda figlia di Demetra che dolce profumo sento spirare di maiale arrosto”. E tuttavia, l’obiettivo degli adepti non era banchettare, soddisfare l’appetito fino a riempirsi la pancia. Volevano ingraziarsi Demetra per realizzare una vita serena, ma soprattutto una buona morte, la certezza della  rinascita.

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