Cultura

La Storia di Luigino, milite di Rocca di Papa nel 1940: simbolo dei caduti di tutte le guerre

Presentato presso la sede del Parco dei Castelli Romani a Rocca di Papa il libro di Rita Gatta “Cara mamma, caro papà…Lettere dall’Albania nel 1940”

libro rita gatta parco

Fissato in un eterno presente a testimonianza di una condizione universale, è l’emblema di chi non ha voce, dei caduti di tutte le guerre. L’artigliere Luigi Giansanti, Luigino, nato a Rocca di Papa il 30 novembre 1920 e morto in terra straniera il 16 novembre del 1940, avrà per sempre 19 anni: ne avrebbe compiuti 20 di lì a poco. È il protagonista del libro “Cara mamma, caro papà…Lettere dall’Albania nel 1940” (edizioni Controluce, 15 €). Già la sua foto in copertina ha un’aria familiare: con i suoi baffetti e lo sguardo disarmato, il cappello con la piuma in testa e la divisa di artigliere di montagna, sembra uno di casa, il nonno o il prozio  soldato di album in bianco e nero. Incarna l’innocenza della gioventù mentre, inconsapevole del destino, pare ammonirci di averlo mandato a morire. L’epoca e il contesto sono altri, uguale è la sorte di giovani e giovanissimi ancora oggi costretti da una politica cinica e scellerata ad andare in guerra in nome di ragioni folli.

Non è un personaggio inventato, ma un ragazzo realmente vissuto con cui l’autrice, Rita Gatta, ha avuto un incontro speciale che ha il sapore di una chiamata, di una missione. A fare da tramite, uno scrigno che pare uscito da una storia esoterica. Con forza autoriale e la delicatezza di una madre, l’autrice lo ha strappato al buio e all’oblio, lo ha fatto rinascere, gli è stata accanto, gli ha dato voce, persino suggerendogli pensieri e parole in prossimità della fine. Come a volerlo ‘risarcire’ perché vittima e martire della Storia con la esse maiuscola, lo ha destinato all’eternità della letteratura.

Milioni i morti nella Seconda Guerra Mondiale. Si disse mai più. Oggi, tra disattenzione e acquiescenza mediatica, assistiamo alla scomparsa di una generazione: tanti Luigi a cui nessuno darà voce, spesso ridotti a ossa prive di nome, russi e ucraini, palestinesi vittime di un genocidio. In questo contesto il volume non  fresco di stampa (la prima edizione è del 2021 ed è giunto già alla terza ristampa) vive di un’attualità permanente: potrebbe essere presentato ogni giorno.

Universale è il tema della guerra, non “sola igiene del mondo” secondo l’esaltazione futurista, ma follia in un pianeta arsenale e laboratorio di morte.

L’ultima presentazione del libro si è svolta sabato 3 agosto alle 20 e 30 a Rocca di Papa presso la terrazza di Villa Barattolo, sede del Parco dei Castelli Romani. A fare gli onori di casa, Cinzia Barbante, funzionaria dell’Ente: “La serata è stata voluta da noi del Parco per ospitare l’amica e la studiosa attenta che ha a cuore la storia del nostro paese. Che c’entra il Parco? Il ruolo dell’Ente è anche il mantenimento di tutte le tradizioni e di tutte le consuetudini dei comuni che comprende”. Con Rita Gatta a dare un risvolto poetico e simbolico all’evento, c’era  Paolo Valbonesi, voce e chitarra a scandire con famose canzoni il senso di una tragedia: La guerra di Piero e La ballata dell’eroe di Fabrizio De Andrè, Il disertore di Boris Vian nella traduzione di Ivano Fossati, Imagine di John Lennon.

Uno scrigno come un vaso di Pandora

Tutto inizia da una consegna. Rita lo ha raccontato nel corso della presentazione come pure nel libro. Qualche anno fa i parenti di Luigino  affidano all’autrice un cofanetto di legno. Contiene lo scambio epistolare del soldato Luigi con i familiari. Le danno carta bianca riconoscendo in lei l’autrice che da sempre celebra con rigore e rispetto la storia di Rocca di Papa e illumina i suoi anonimi protagonisti. Sulle prime, Rita non ha il coraggio di aprire il cofanetto. Poi, in uno strano giro di coincidenze, un 4 novembre, giorno in cui si celebra la Festa delle Forze Armate, decide di farlo: la prima lettera che le capita sotto mano è un biglietto postale  datato 18 novembre 1940. Contiene un accorato appello al ragazzo da parte della mamma e del papà a farsi sentire non avendo più alcuna notizia. Il reiterato invito trasmette l’angoscia dei genitori: “Scrivi presto, scrivi presto, scrivi presto, stiamo in pensiero”. Già altre volte è accaduto che la fitta corrispondenza tra l’artigliere e i familiari sia stata ricevuta in ritardo da ambo le parti per le crescenti difficoltà in tempo di guerra. Stavolta è diverso: due giorni prima, il 16 novembre 1940, l’artigliere assegnato al 14esimo Reggimento Artiglieria Divisione Ferrara è morto a Plaghia per una ferita da scheggia alla volta cranica. Come un vaso di Pandora,  l’apertura del cofanetto scoperchia tutti i mali della guerra e la tragedia di una famiglia tra tante. La narrazione prende avvio dalla fine. E così anche la presentazione che l’ha ripercorsa attraverso diapositive in cui l’autrice, come ha fatto nel libro, ha minuziosamente ricostruito la storia della famiglia Giansanti, la vita a Rocca di Papa all’epoca, il contesto socio-ambientale, gli avvenimenti della grande Storia. Il risultato è un libro concepito durante la pandemia e realizzato in pochi mesi anche attraverso una comunicazione spirituale con Luigino, che non è una semplice trascrizione di lettere fino a quel momento  inedite, e  neanche un saggio storico di ricostruzione delle vicende dell’occupazione italiana di Grecia e Albania. È  tutto questo e molto altro seguendo un metodo di lavoro specifico: “Ho iniziato a lavorare sulle lettere, le ho messe in ordine cronologico e al tempo stesso ho lavorato su fonti scritte, orali iconografiche”, il racconto di  Rita che si è avvalsa anche della consulenza di una grafologa per indagare la personalità dell’artigliere e il suo cambio di grafia nel giro di pochi mesi: la guerra lo fa maturare in fretta. Dal libro emerge il ritratto di una comunità, quella di Rocca di Papa, in cui tanti potranno ritrovare vicende di parenti e amici, e insieme un affresco della condizione umana.

Il tempo della vita scorre tra affetti, occupazioni solite, piccoli avvenimenti, grandi angosce legate alla guerra e alle decisioni di Mussolini. Luigino, un ragazzo come tanti, dà dimostrazione di precoce maturità a dispetto dei suoi 19 anni e di grande senso di responsabilità verso i suoi cari. È  il primo di sei figli in una famiglia laboriosa e onesta che va nei boschi con muli e cavalli a caricare legname e carbone da consegnare alle aziende boschive, ai forni del paese e delle altre località castellane. L’autrice ha fatto una capillare ricerca negli archivi comunali e parrocchiali, ha intervistato tanti superstiti dell’epoca e dove non è stato possibile avere riscontri, né scritti né orali, ha usato la facoltà dell’immaginazione per raccontare gli ultimi momenti di vita del ragazzo.

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“Noi ci troviamo in viaggio per nuova destinazione, perciò miei cari non state in pensiero e non vi prendete pena per me (…) un giorno si sta qui e un altro giorno si riparte, insomma dobbiamo stare sempre in movimento”, così scrive Luigi il 24 agosto del 1940. E poi aggiunge: “Tanto io ho capito com’è la vita, bisogna stare sempre allegri e contenti a mangiare, bere e divertimenti che tutto passa presto, invece se si sta sempre aveliti si passano delle giornate malinconiche e noiose e il tempo non passa mai, come a me questi ultimi due mesi mi sono passati come il vento, vedrete che anche la Grecia sarà nostra e presto”. Elabora una semplice filosofia di vita, cerca di consolarsi  mentre rassicura i genitori: una costante di tutte le sue missive. In quella data, già le truppe italiane si stanno mobilitando al confine greco-albanese. Il ragazzo, però, si mostra allegro. Il 4 settembre scrive: “Ieri sera ho passato una bella serata di contentezza perché qui è venuto l’auto cinema”. E poi aggiunge: “che festa sarà quel giorno del mio ritorno”. Lasciate un po’ d’uva per quando vengo a licenza io avete capito?”

La guerra 

“Dev’esserci qualcosa di sbagliato nel cervello di quelli che trovano gloriosa o eccitante la guerra. Non è nulla di glorioso, nulla di eccitante, è solo una sporca tragedia sulla quale non puoi che piangere”, così scrive la grande giornalista Oriana Fallaci, prima donna italiana ad andare al fronte come inviata speciale e il fronte è il Vietnam.

C’è solo da piangere. Trattiene le lacrime a stento mamma Marietta, e chissà quante ne ha piante, ha gli occhi lucidi papà Giovanni quando Luigino deve partire per il fronte. La cartolina precetto gli arriva subito dopo l’Epifania. La serenità della vita della famiglia, una vita semplice fatta di relazioni armoniose in casa e fuori, è scossa per sempre. Il giorno della partenza, prima per Roma, poi per Bari, Luigino si gira un’ultima volta verso la casa in via XX settembre 9, nel centro di Rocca di Papa, al quartiere bavarese, dà un ultimo sguardo alla famiglia e poi sarà travolto dalla Storia. Il reggimento Artiglieria Divisione Ferrara è di stanza in Albania, a Girocastro. Luigino sa di andare in guerra per servire la patria, liberare i popoli oppressi, contrastare la vile Inghilterra: così, con il culto dell’obbedienza, sono stati educati dalla propaganda fascista i figli della lupa. Inizialmente deve trasportare pezzi di artiglieria a dorso di mulo. Presto i compiti cambieranno e alle esercitazioni si sostituirà la realtà delle azioni belliche tra morte e distruzione. Dovrà difendere confini stabiliti da una precedente occupazione voluta da Mussolini, combattere in una guerra ingiusta. Ma non ne è mai esistita una giusta.

La sua vita da soldato sarà assai breve. Nelle sue lettere continua fino alla fine ad apparire sereno, di buon umore. In quelle iniziali, sembra voler prendere tutto come un gioco: “Mi diverto tanto, figurati che mi trovo insieme a un paesano”, scrive. Sempre prevale il desiderio di non preoccupare i familiari come di aggirare la censura, si mostra in pensiero più delle sorti dei suoi che di se stesso. In una lettera racconta che la paga da soldato è di 5 lek giornalieri e 35 sigarette alla settimana: scherza sull’opportunità di iniziare a fumare. È pieno di sollecitudine per la sua famiglia a cui invia sempre soldi. Spedisce frequentemente foto con i commilitoni per far sentire la sua vicinanza.. Riferisce  di momenti anche spensierati come un bagno al fiume in cui tutti scherzano come ragazzi qualsiasi in tempo di pace, racconta delle esercitazioni militari. Sempre manifesta il desiderio di ritrovarsi con i suoi cari al più presto. In qualche caso fa riferimento alle condizioni di vita e alla gente del posto. La felicità si scatena quando arriva la posta. “Saltiamo come matti, tutti a strillare, è arrivata la posta, allora pare un manicomio (…) Quando arriva la posta è come se arrivasse la nostra famiglia”, scrive il 28 giugno del 1940. La camerata impazzisce anche all’arrivo dei pacchi. Da quelli che riceve Luigi esce fuori di tutto: calzini, una penna stilografica quando le penne non si trovano e per questo ha dovuto ritardare a scrivere, saponette, pecorino, salame, ciambelle e ciambelloni, immaginette di santi e della Madonna del Tufo a cui è devoto.

Continuamente riferisce ai suoi cari che sta bene, che c’è comprensione e affetto da parte dei suoi superiori come degli altri ragazzi, che è certo che presto tornerà a casa in licenza.

Il triste ritorno avverrà da morto e solo nel 1954: da allora riposa presso il monumento ai Caduti di Rocca di Papa.

Quello che non è stato mai scritto

Suscitando viva commozione tra i presenti, l’autrice nel corso della presentazione ha letto passi toccanti delle lettere che restituiscono l’emotività familiare e quella del giovane soldato, alternati a resoconti storici. L’11 ottobre Mussolini riceve una lettera da Hitler che lo informa che le truppe tedesche sono penetrate in Romania. Il 19 ottobre del 1940 Luigino scrive le ultime due lettere, una ai genitori e alle sorelle, l’altra alla zia: il suo testamento spirituale. In quello stesso giorno, Mussolini scrive a Hitler comunicando l’intenzione di occupare la Grecia. Da questo momento in poi, nel libro l’autrice dà voce a ciò che Luigi avrebbe voluto scrivere. “Cara mamma, caro papà, solo con il pensiero vi scrivo… avrei voluto essere con voi, doveva arrivare la sospirata licenza, invece mi trovo qui con i miei compagni, tra queste montagne e queste valli: è la guerra…”

In un’altra lettera immaginaria Luigi scrive: “Chi ha previsto che sarebbe stato semplice spezzare le reni ai greci, dov’è? Chi gioca con le nostre vite, con il nostro futuro, perché non è qui tra noi? (…) Nulla si può fare sotto il tiro dei mortai e l’odore del sangue s’annulla nel fumo acre della polvere da sparo che brucia”. L’autrice sorregge Luigino fino all’ultimo respiro. L’esercito e l’aviazione greca lo fermano per sempre. “Pian piano tutto s’attenua, svanisce lentamente all’odore della minestra fumante, delle caldarroste, del pane caldo…si lascia andare, Luigino”. Come se gli odori, i sapori e i colori della sua Rocca, ultime impressioni, ultimi ricordi, ultime immagini che gli passano nella mente, gli permettano di morire in maniera indolore.

“Ho voluto scrivere delle lettere immaginarie, i pensieri che Luigino avrebbe potuto scrivere se avesse potuto, con la censura non sarebbero arrivate, e qui entra in gioco la scrittrice, per seguire il ragazzo fino alla fine”, ha rivelato Rita durante la presentazione. Da ex insegnante, spesso porta la vicenda all’attenzione delle scuole del territorio per testimoniare il valore della pace. “Luigino è entrato in me, a volte lo sognavo, il lavoro record è durato sei mesi. Bisogna dare voce alla piccola storia, alla storia di tutti i giorni. La piccola storia fa la grande Storia ed è da qui che dobbiamo partire. Purtroppo, però, la Storia non insegna nulla”.

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