Cultura

CN Libri – Alessio Miglietta: “Il mio Poema Nero, un grido contro il conformismo di una società che tollero a fatica”

Alessio miglietta scrittore

Alessio Miglietta, quarantenne autore romano, vincitore con “Poema Nero” (The Creepy Books edizioni) del ‘Premio Internazionale Letteratura Italiana Contemporanea 2023’, è in questi giorni in libreria con la raccolta poetica “L’Immagine Deforme”, edito dalle Edizioni Ensemble. Autore inoltre di Cieli di Valium, 2022, Requiem di Vite e Amori, 2023, Grunge (1984), 2013 e Frammenti: Collezione di Haiku, 2023.

Castelli Notizie lo ha intervistato.  

Quanto tempo hai impiegato per comporre Poema Nero?

Poema Nero è il frutto di nove anni di ricerca, vita, analisi dell’uomo prima al microscopio, destrutturando innanzitutto colui che l’ha scritto, e poi al cannocchiale, ovvero la società in cui viviamo. Senza trascurare tutta la sezione legata alla sperimentazione, alla costruzione e, successivamente, alla stesura del testo. La struttura peraltro è stata appositamente creata da me per avere più musicalità possibile in fase di lettura. E con grande soddisfazione posso dire che il risultato è ciò che si definisce un’autentica fatica letteraria.

La tua ispirazione per Poema Nero è stata, scrivi, La Divina Commedia di Dante Alighieri: si può trovare, secondo te, un parallelo tra quell’opera e la tua? Tra l’altro all’inizio della tua opera c’è l’invocazione alle Muse come nell’Iliade e l’Odissea…

Ho preso come riferimento l’opera più importante e imponente della nostra letteratura, e sfogliando quel capolavoro per l’ennesima volta ho sentito accendersi la scintilla. Dovevo e volevo creare qualcosa di tanto potente da provare ad abbattere il mainstream da tanto tempo, la sfida è farlo con una forma tradizionale. E non da ultimo, era il libro che avevo bisogno di scrivere, a livello personale quanto artistico. Dopo anni di “relegazione” ad autore di nicchia, e quindi confinato in quello che definisco “sottosuolo”, limbo dove vibrano i veri talenti, ho realizzato quanto fosse ora di compiere la scelta definitiva. Il mio esordio risale al 2011/2012 e da allora ogni occasione è stata buona per scontrarmi con un sistema che mi ricordava continuamente quanto non fossi commerciale, nonostante l’ottima penna. Da lì il classico bivio: vendermi come hanno fatto in tanti, rinnegando le proprie idee, o mantenere la guardia alta e continuare a combattere una battaglia visionaria? Ho optato per la seconda ovviamente, desideroso di un’evoluzione rispetto ai miei lavori precedenti, e del definitivo salto di qualità. Se dovessi trovare un parallelo con la Divina Commedia direi senz’altro la ricerca di un senso e di valori ormai dimenticati, la redenzione attraverso un sentimento puro e autentico, e la capacità dell’autore di mettere a nudo tutte le sue certezze e incertezze, distruggendo qualsiasi tipo di maschera. L’invocazione alle Muse nell’apertura poi suona così dannatamente bene anche perché c’era sicuramente bisogno di un supporto “divino”, perché solo un folle proporrebbe un poema nell’era del «consuma subito», delle produzioni tutte uguali senza qualità, o di scrittori e presunti tali enormemente omologati. La Divina Commedia e Poema Nero sono due comete che compiono traiettorie diverse, per arrivare essenzialmente alla stessa meta. 

Il tuo Poema sembra una ‘resa dei conti’, una lunga Sfida all’O.K. Corral con una società votata all’individualismo, al conformismo, agli «ideali chimici»: sintetizzando, viene in mente il Guccini di Dio è morto, brano del ‘65…

Splendida osservazione. Guccini ha proposto il desiderio e la necessità di un cambiamento, urlando contro i diversi mali del suo tempo, sottolineando con il termine “Dio è morto” la decadenza dei valori sociali. Certamente, Poema Nero rappresenta un momento di intenso confronto, e al tempo stesso, di scontro tra l’individuo e la società circostante, in relazione alla condizione umana di oggi.

Non potevo però avere la presunzione di dare giudizi o sparare a zero sulla società attuale senza partire da una profonda autocritica, esplorando temi simili di disillusione, critica sociale o ricerca di significato in un contesto più ampio. L’assenza di autocritica è spesso dominante perché impedisce un miglioramento, sia individuale che collettivo, almeno questa è la mia visione in questo periodo storico. È tutto basato sul profitto e sull’egoismo, e questo spinge le persone a perseguire i propri interessi a scapito degli altri o dell’etica personale. Riflettere su questi concetti può aiutare a identificare le aree in cui la società potrebbe migliorare e promuovere una maggiore consapevolezza di sé, un ripristino di valori più alti e un senso di responsabilità verso ciò per cui viviamo.

In Poema Nero vi sono suggestioni e chiari riferimenti a Baudelaire, Byron, Walpole e, come scritto nella prefazione, Milton, Poe: da dove proviene questo tuo interesse per la letteratura gotica e romantica?

La mia passione per la letteratura gotica e romantica risale a quando ero solo un ragazzo sbarbato che frequentava il liceo, ho trovato riflessi delle mie stesse inquietudini e desideri, e ho imparato che la bellezza può essere scovata anche nelle tenebre più fitte. Ho sempre avuto un’irresistibile attrazione per i mondi letterari che mescolano realtà ed emozione, luce e oscurità, vita e morte, capaci di smuovere le radici dell’animo umano, i sentimenti più intensi e le paure più vivide. Erano e sono ancora oggi dei viaggi introspettivi che aprono continuamente dei nuovi orizzonti. Degli autori citati, che hanno avuto un impatto significativo sulla mia visione del mondo e sulla mia scrittura, senza dubbio Charles Baudelaire è stato il più significativo. Con la sua poesia decadente e malinconica mi ha ispirato a esplorare i recessi più oscuri della mente umana, e ad affrontare l’amore tormentato, la perdita, la fragilità dell’esistenza e la costante ricerca della bellezza, insegnandomi a scavare a fondo nelle emozioni e a trovare la poesia anche nelle situazioni più dolorose.

In ‘Depressioni’, l’unico componimento tra l’altro scritto in corsivo, usi se così si può dire uno stratagemma: la depressione ti parla, e allo stesso tempo sembra che tu ti metta in qualche modo dalla sua parte…

In quel capitolo ho deciso di darle una voce, è un’altra delle sfumature sperimentali di Poema Nero. Non nego che ci sia una componente reale, vissuta sulla mia pelle, ma volevo proporla in un modo diverso, virtuoso. È una testimonianza della mia esperienza, dove però ho invertito i ruoli, se così possiamo dire, perché non volevo cadere nel patetico e nel banale, né cercare il consenso o l’applauso a ogni costo. È importante, oltre alla qualità, la sincerità, perché la scrittura è una cosa seria, non è un vezzo o un passatempo. Almeno per quel che mi riguarda. Non dimentichiamo poi un principio essenziale, che la vera arte è sempre stata legata a doppio nodo al dolore esistenziale e alla malinconia, tanto nella letteratura quanto nella musica. Anzi, più quel male è radicato, maggiore sarà la capacità di avere una visione delle cose e delle emozioni più amplificata. Dico spesso che la scrittura mi ha salvato la vita, perché mi ha permesso di incanalare una serie apparentemente infinita di percezioni estremamente negative nei miei testi. Anche per questo sembro schierarmi accanto a una depressione che viene per la prima volta personificata e “umanizzata”, con l’intento di parlare direttamente al lettore. L’uso del corsivo per questo componimento sottolinea ulteriormente questa intenzione, per creare un impatto emotivo più forte ed entrare a contatto con quell’abisso troppo spesso ignorato.

A quale altre correnti poetiche ti senti in qualche modo legato?

Mi sento molto affine ai poeti maledetti e al decadentismo, così come al filone ermetico e crepuscolare. Ci sono poi alcuni autori che ritengo determinanti per la mia formazione, come Hermann Hesse, che con il suo stile intenso e profondo mi ha sempre portato a compiere riflessioni sulla ricerca di sé stessi, l’importanza della spiritualità per il nostro benessere interiore e sulla ricerca di significato nel caos della vita. Poi sicuramente Jean-Paul Sartre, che con la sua filosofia esistenzialista mi ha accompagnato nell’esplorare la libertà, l’autenticità e la responsabilità individuale, quindi la profonda connessione tra azioni e conseguenze che mi “costringe” a riflettere sul significato di ogni passo e sulla possibilità di creare il mio destino. Infine Charles Bukowski, che con la sua prosa cruda e schietta mi ha insegnato l’importanza della sincerità nella scrittura. Le sue storie di solitudine e disillusione mi hanno mostrato la bellezza e la poesia allo stato grezzo, nascoste nelle esperienze umane più comuni, e spesso ignorate.

Spesso usiamo parole “imposte” in qualche modo dall’alto: penso al termine ‘resilienza’ usata nei documenti ufficiali della UE nel periodo della pandemia –  e che in L’Immagine deforme appare due volte – o a certe onomatopee, come ‘wow’, entrate a sproposito nel linguaggio comune: quello che tu definisci mainstream ha vinto anche in questo caso…

 Hai perfettamente ragione a sottolineare questo concetto. È piuttosto evidente quanto alcuni termini siano stati svuotati di significato e utilizzati come slogan vuoti. È frustrante vedere il linguaggio manipolato per adattarsi a narrative preconfezionate, perdendo autenticità e profondità. Il dominio del mainstream impoverisce il modo di comunicare, relegando il pensiero critico a una nicchia. È fondamentale recuperare il valore delle parole. Il vero senso di ‘resilienza’, per come lo interpreto io ad esempio, soprattutto nell’Immagine Deforme, ha un duplice significato. Il primo è reggere l’urto di qualsiasi difficoltà quando la vita ti mette alla prova. L’altro è il principio di resistere alla conformità e sviluppare una consapevolezza critica, riaffermando la propria voce autentica. È necessario un atto di ribellione che promuova idee e realtà alternative, trasformando le sfide in opportunità senza avere le ali spezzate in partenza.

Quanta importanza ha per te la musica, visto che in Poema Nero c’è un riferimento alla ‘Stratocaster’? Che musica ti piace ascoltare?

La musica per me è una componente indispensabile, così come si dice “l’acqua è vita”, applico lo stesso principio anche alla musica, sia nel quotidiano che a livello compositivo. Non ricordo di aver mai scritto qualcosa senza l’apporto di un disco in sottofondo. Il genere prediletto è il rock in quasi tutte le sue forme, dal grunge (Nirvana, Alice In Chains, Soundgarden) al british (Oasis, Verve) passando per quello sperimentale o psichedelico (gli ultimi Beatles, Pink Floyd, gli Who, Radiohead, Doors, Velvet Underground), e tutta la scena indie rock inglese di inizio millennio. In Italia apprezzo molto quelli che reputo autori/poeti e relative band del panorama alternativo, quindi ad esempio Manuel Agnelli e gli Afterhours, Paolo Benvegnù e gli Scisma, Pierpaolo Capovilla e il Teatro degli Orrori, Cristiano Godano e i Marlene Kuntz. Allo stesso modo i Verdena, per chiudere il cerchio e ritornare al grunge. Niente di ciò che passano in radio, insomma. La cosa che preferisco maggiormente però, è spaziare tra i generi e andare alla scoperta di suoni nuovi, di bellezze straordinarie proprio perché diverse da ciò che vediamo e sentiamo in classifica, e che ci propinano fino allo sfinimento. “Magari sono solo un sognatore”, citando un verso di Poema Nero, ma credo ancora nella visione artistica delle cose, attitudine imprescindibile, al contrario di molti che pensano solo al ritorno economico e la ricerca spasmodica di celebrità. Confido nel fatto che alla fine dei conti la qualità paghi sempre, perché vale il testo scritto, lo spessore dei concetti, non la notorietà del nome in copertina…

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