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Castel Gandolfo – Le Ville Pontificie spalancate all’umanità in fuga dai bombardamenti: i Ricordi di Guerra esposti in mostra

"Castel Gandolfo 1944" è il titolo della mostra sul bombardamento degli edifici vaticani allestita nel palazzo papale e inaugurata sabato 10 febbraio dal cardinale Fernando Vergez in rappresentanza del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano

 mostra Palazzo Pontificio "Castel Gandolfo 1944"

Ai Castelli Romani la grande Storia si è insinuata nelle storie personali sconvolgendole in eterno. Non c’è famiglia che non abbia conosciuto morte e distruzione, sangue e martirio, durante la Seconda Guerra Mondiale. Sono indelebili le ferite delle comunità di Castel Gandolfo e Albano a seguito dei bombardamenti che il 10 febbraio 1944 colpirono le ville Pontificie, Villa Barberini e il collegio estivo Propaganda Fide dove gran parte della popolazione si era rifugiata.

Nella ricorrenza dell’80esimo anniversario si è appena svolta la sentita Marcia della Pace della città di Castel Gandolfo. Affiorano i ricordi: strazianti memorie familiari, racconti, testimonianze qualche volta inedite. Letteralmente nei cassetti di famiglia Luciano Mariani Pagnanelli, instancabile saggista, voce e memoria storica di Castel Gandolfo, ha scovato una missiva scritta da sua mamma che racconta un pezzo di quella vicenda bellica.

CASTEL GANDOLFO - La pioggia non ferma la Marcia per la Pace

‘A Castel Gandolfo non c’è più nessuno…’

Al momento dei tragici fatti, Luciano Mariani, classe 1943, aveva appena due mesi, ma ha memoria dell’accaduto grazie agli innumerevoli racconti di genitori e familiari. Sua mamma Lucia era di Castel Gandolfo dove viveva con il papà Mario che era invece di Velletri, città in cui abitavano i suoi fratelli e altri familiari. Velletri era stata bombardata e rasa al suolo il 22 gennaio. C’erano state centinaia e centinaia di vittime. “Non c’erano mezzi, le strade erano tutte rotte. C’era una sorella di mio padre, Maria, che stava con noi a Castel Gandolfo e ci rifugiavamo nella grotta Cassio attigua al nostro ristorante. Maria era incinta e quando seppe che Velletri era stata bombardata voleva andarci a piedi pur di sapere se i familiari fossero vivi e morti. Allora mia mamma scrisse una lettera ai fratelli di mio padre: voleva avere notizie”.

Ne diede lei per prima, in esclusiva: “A Castel Gandolfo non c’è più nessuno, sono tutti rifugiati in Vaticano”, scrisse nella lettera ora conservata presso l’Associazione Storia e Memoria dei Castelli Romani, già Associazione dei Familiari Vittime del bombardamento di Propaganda Fide, in vista forse di una futura esposizione. Quella descrizione rende l’idea di un paese desertificato, svuotato di persone e attività, chiuso in un silenzio irreale.

Le Ville Pontificie, un mondo segreto si spalanca all’umanità in fuga dai bombardamenti

Si può immaginare il rapido precipitare degli eventi dopo l’8 settembre 1943, data dell’armistizio, e a seguito dello sbarco anglo-americano ad Anzio, il 22 gennaio 1944. Il 30 gennaio 1944 Genzano fu colpita dal primo bombardamento aereo alleato. Due giorni dopo, il 1° febbraio, toccò ad Ariccia, il 2 febbraio a Marino. Le popolazioni di Albano, che pure era stata bombardata, e quella di Castel Gandolfo pensarono allora di rifugiarsi nel complesso delle Ville Pontificie annesse al Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo. Dopo i Patti lateranensi del ’29, l’Italia aveva riconosciuto all’area di circa 50 ettari lo statuto di zona extraterritoriale appartenente a un Paese neutrale, lo Stato vaticano. Anche gli alleati avevano riconosciuto la neutralità del Vaticano, almeno sulla carta. In una lettera a Pio XII del 4 luglio 1943 il presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt scriveva: “Le chiese e le istituzioni religiose saranno, per quanto dipende da noi, risparmiate dalle devastazioni belliche nella lotta che ci sta davanti. Durante il periodo delle operazioni militari, la posizione di neutralità della Città del Vaticano, come pure i possedimenti pontifici in Italia saranno rispettati”.

Inoltre, tra i castellani e lo stato vaticano c’è sempre stata una familiarità che viene da lontano, come ben ha ricordato Mariani: “Pio XII prediligeva i cittadini di Castel Gandolfo perché già nel ‘700 Clemente XI nello statuto gandolfino assimilava gli abitanti di Castel Gandolfo ai cittadini vaticani”. Clemente XI fu il papa che conferì a Castel Gandolfo il titolo di villa pontificia. E così, su impulso di papa Pacelli, il 25 gennaio 1944 le Ville Pontificie aprirono i cancelli soccorrendo tutti coloro che, in fuga dalla guerra e dai bombardamenti che infuriavano ai Castelli Romani, cercavano rifugio e riparo in un posto ritenuto inviolabile. Ma l’illusione dell’inviolabilità fu infranta a distanza di appena 15 giorni.

Convinte di essere al sicuro, affluirono circa 12 mila persone occupando ogni spazio: giardini, scalinate, stanze, saloni, scale, le rovine archeologiche del criptoportico della Villa di Domiziano, la Villa Pontificia, villa Cybo, villa Barberini, la villa del Collegio di Propaganda Fide con annessa chiesa di Santa Maria Assunta.

Vita in Vaticano e l’illusione dell’incolumità

In quei giorni si creò o ricreò una comunità. “Pio XII aveva incaricato l’allora segretario di Stato vaticano, Gian Battista Montini, il futuro papa Paolo VI, e il direttore delle ville pontificie, Emilio Bonomelli, di provvedere all’organizzazione e all’accoglienza dei rifugiati. Gli uomini erano stati separati dalle donne. Le donne avevano occupato il piano nobile del Palazzo pontificio”. Circa 2mila i castellani arrivati. Ovunque materassi, giacigli, coperte. La situazione della popolazione di Albano era peggiore, ha sottolineato Mariani: “Stava nel criptoportico accampata con tende, baracche. I contadini avevano portato con sé le mucche: il latte ai bambini era così assicurato. Suor Timotea provvedeva alla distribuzione, nelle fontane dei giardini le donne lavavano i panni. Erano state portate le botti di vino, attrezzi per lavorare, c’era persino il barbiere”. Erano stati allestiti tende, cucine e un ospedale da campo. La gente si arrangiava cercando di tornare ai ritmi consueti di vita nella convinzione di essere in un luogo che sarebbe rimasto inviolato.

36 bambini nati nel letto del Papa

La Villa pontificia si trasformò in ospedale improvvisato per curare i feriti. Le stanze più riservate e anche l’appartamento del pontefice furono destinati ad accogliere i rifugiati. Nella camera da letto del Papa nacquero ben 36 bambini, tra cui due gemelli, a cui i genitori diedero i nomi di Eugenio Pio e Pio Eugenio in onore del Papa.

La speranza infranta: il bombardamento di Propaganda Fide

Ogni speranza cessò verso le 9 e 15 della mattina del 10 febbraio 1944. Mariani la cui testimonianza integrale è nell’archivio dell’Associazione Storia e Memoria dei Castelli Romani ha riportato il racconto di sua mamma Lucia: “Quella mattina – raccontava mia madre – c’era una gelida tramontana, ma anche il clima che gravava su Albano era particolarmente cupo, come se un presentimento lasciasse intuire che da lì a poco qualcosa di terribile sarebbe accaduto. Cominciarono a vedersi nel cielo formazioni di bombardieri americani, che si dirigevano verso il mare, verso Anzio e Pratica di Mare, Nettuno. Al secondo passaggio i bombardieri virarono verso il Lago di Castello ed Albano, con grande sconcerto della gente. Iniziò così il drammatico bombardamento del 10 febbraio 1944. Albano era già distrutta dai precedenti attacchi, così molti palazzi erano già rovine: Villa Doria, presa di mira dai bombardieri americani poiché sede della Divisione Piacenza, il Convento dei Carissimi. Nel bombardamento di Propaganda Fide, quello che colpì i Castelli Romani quel fatidico 10 febbraio, i morti furono tantissimi e tantissimi i dispersi ed i feriti”. Nella già deplorevole conta dei morti, in mancanza di dati precisi, non è stato mai accertato il numero esatto dei caduti: secondo una vulgata sarebbero stati 500, forse 700, per alcuni oltre 1000.

“Ognuno scavava con le mani, in quell’inferno di macerie”

Ancora il resoconto di Mariani: “Le scene di devastazione furono a dir poco raccapriccianti: ovunque morti, brandelli di membra umane sparse sul terreno, addirittura – ricordava mia madre – un reggiseno insanguinato che pendeva lugubre dai rami di un albero. Dentro il reggiseno, un rotolino di soldi, nascosto evidentemente nella fretta della fuga. E poi va ricordato per il grande aiuto offerto dopo il terribile bombardamento di Propaganda Fide, il nostro Arciprete, Don Dino Sella, che aiutò instancabilmente, feriti, orfani e soprattutto per il pietoso riconoscimento delle salme, e la loro sepoltura. E poi il Parroco di Albano, molte suore e tantissimi religiosi, medici e civili, chiunque aiutava, scavando con le mani in quell’inferno di macerie, portando soccorso”.

Dal 1994 il “no” a tutte le guerre

L’episodio bellico ha segnato profondamente la storia locale e il 10 febbraio di ogni anno Comune di Albano e di Castel Gandolfo, Associazione Vittime dei bombardamenti di Propaganda Fide insieme al Direttore delle Ville Pontificie, alle suore di Propaganda Fide, al Parroco, alle autorità, ai cittadini, organizzano una Marcia della Pace in memoria delle vittime di Propaganda Fide e di tutti i martiri delle Foibe e dell’esodo giuliano dalmata, avvenuto tra il 1943 e il 1947.

“Iniziammo a fare questa Marcia della Pace nel 1994 quando era sindaco Luciano Toti in segno di protesta contro la Guerra del Golfo essendo Castel Gandolfo città della pace e dell’accoglienza – ha raccontato l’ex primo cittadino, oggi consigliere comunale, Maurizio Colacchi -. Quando sono diventato sindaco, ho spostato l’evento al 10 febbraio in coincidenza con il bombardamento di Propaganda fide. Inserimmo la celebrazione anche nello statuto comunale perché fosse sempre rinnovata. Ogni anno aveva percorsi diversi, da un po’ di anni si fa con l’autorizzazione delle ville pontificie per arrivare a Propaganda fide. Noi intitolammo la piazza Propaganda fide piazza della Pace e piantammo un ulivo arrivato da Gerusalemme”.

L’attuale vicesindaco Cristiano Bavero ha riferito: “Mio nonno ha servito 4 papi, l’evento è molto sentito dalla comunità. È stata un’immane tragedia”.

Castel Gandolfo 1944, ‘città di profughi’: inaugurata la mostra in Vaticano

“Castel Gandolfo 1944” è il titolo della mostra sul bombardamento degli edifici vaticani allestita nel palazzo papale e inaugurata sabato 10 febbraio dal cardinale Fernando Vergez in rappresentanza del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. La rassegna dal taglio storico-documentaristico sarà permanente.

 mostra Palazzo Pontificio

Allestita nei nuovi spazi musealizzati del Palazzo Papale di Castel Gandolfo con la curatela del professor Luca Carboni dell’Archivio Apostolico Vaticano, è stata promossa congiuntamente dalla Direzione dei Musei e dei Beni Culturali e dalla Direzione delle Ville Pontificie per commemorare le vittime del tragico evento bellico e allo stesso tempo onorare la straordinaria accoglienza, assistenza e cura prestata dal personale vaticano alle migliaia di sfollati.

Attraverso immagini fotografiche, filmati storici, interviste ai sopravvissuti e oggetti d’epoca, l’esposizione documenta per la prima volta in uno dei luoghi che fu il teatro delle vicende narrate, la quotidianità sia lieta che dolente di una insolita ‘città di profughi’ accampati ovunque. Alle testimonianze fotografiche si aggiungono pellicole e documenti inediti ritrovati sepolti tra le carte dell’Archivio delle Ville Pontificie, recentemente recuperato e riordinato su impulso dell’iniziativa museale. La mostra è visitabile da oggi all’interno del circuito museale del Palazzo Pontificio e dei giardini di Castel Gandolfo.

 mostra Palazzo Pontificio

Una seconda mostra è allestita nella cripta della Parrocchia Pontificia San Tommaso da Villanova e sarà visitabile fino al 23 febbraio. In esposizione anche qui foto di archivio ritrovate.

 

 

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