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Dedicato a Nemi e alla vera storia del rogo delle Navi Romane il numero di giugno della “Rivista di Engramma”, pubblicazione scientifica dell’Università di Venezia

E’ dedicato per gran parte a Nemi il nuovo numero della “Rivista di Engramma”, la pubblicazione scientifica dell’Università di Venezia, che nel mese di Giugno 2023 è stata quasi interamente dedicata alle navi imperiali romane di Nemi.

Attribuibili all’imperatore Caligola, affondate sul fondo del lago di Nemi, vennero recuperate in una impresa archeologica condotta dal 1928 al 1932, che fornì uno dei contributi più importanti alla conoscenza della tecnica navale romana.

Tutti gli articoli sono liberamente consultabili in open access. Tra questi segnaliamo un saggio sull’incendio delle navi, nel quale si offre una sintesi delle ultime novità storiografiche sull’argomento. Saggio scritto a quattro mani, visto che porta le firme dell’archeologo Flavio Altamura e dello storico Stefano Paolucci.

Si parte dalla sera del 31 maggio 1944,  che precede di 4 giorni la liberazione di Roma. La sera in cui “i due imponenti scafi delle navi-palazzo dell’imperatore Caligola vennero ridotti in cenere”, a seguito del “furioso incendio era divampato all’interno del Museo delle navi romane, la grande struttura fatta costruire da Mussolini sulle sponde del lago di Nemi per ospitare i magnifici reperti. Finiva così, nel peggiore dei modi, l’eccezionale impresa archeologica del loro recupero, vero fiore all’occhiello della propaganda culturale del regime fascista…”.

Una revisione critica, la loro, senza dubbio affascinante, in cui si porta alla luce il fatto che non furono i soldati tedeschi ad appiccare l’incendio che distrusse irrimediabilmente le navi.

“La nostra ricostruzione sembra quindi scagionare i militari tedeschi. Volendo porre la vicenda nei termini di un giallo con delitto, si dovrebbe infatti constatare, in primo luogo, come a oggi manchi a loro carico qualunque prova che li possa collocare sulla ‘scena del crimine’ (occasione); in secondo luogo, manca altresì qualunque prova, indizio o spiegazione su come avessero potuto materialmente incendiare le navi senza ricorrere all’uso di lanciafiamme o sostanze infiammabili (mezzo); e in terzo luogo, manca soprattutto un motivo valido e convincente che li avrebbe potuti spingere a commettere un tale scempio (movente), se si esclude quello estremamente labile e chiaramente pregiudiziale prospettato dalla commissione, e cioè che i soldati della batteria, “certamente fanatici”, bruciarono le navi per compiere il loro definitivo atto vandalico nel museo e “procurare un’altra gravissima perdita all’Italia” (Ucelli 1950, 317, 319). Da questo crimine, tra le innumerevoli distruzioni e i delitti abominevoli di cui si macchiarono in quei terribili anni, i tedeschi devono quindi essere scagionati dal punto di vista storiografico. Ad appiccare il fuoco alle navi, invece, potrebbero essere stati proprio gli effetti e i prodotti generati dalle esplosioni delle granate alleate che la sera dell’incendio centrarono più volte il museo (Altamura, Paolucci 2023, 151-164, 249).

Si può approfondire il tema e leggere l’intera rivista tramite il seguente link Engramma – la tradizione classica nella memoria occidentale n.203.

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